venerdì 16 ottobre 2009

La mano di Novartis

Influenza suina: partono le vaccinazioni tra i dubbi della Corte dei Conti (e non solo)

La vaccinazione di massa per l'influenza H1N1 è cominciata nonostante i casi siano meno del previsto e una fitta nebbia avvolga il contratto tra Ministero della Salute e Novartis, la fornitrice del vaccino contro il virus suino.
di Andrea Boretti

vaccino influenza suina
“Abbiamo appena varato la sconfitta del virus suino” ha detto l'Assessore alla Sanità della Regione Lombardia Luciano Brescianini a seguito della prima vaccinazione di un operatore sanitario italiano
“Abbiamo appena varato la sconfitta del virus suino” ha detto Mercoledì 14 l'Assessore alla Sanità della Regione Lombardia Luciano Brescianini a seguito della prima vaccinazione di un operatore sanitario italiano. Il programma, il primo a partire in Europa, continuerà nei prossimi giorni con altri operatori sanitari - anche se solo il 30% dei medici di famiglia si sottoporrà al vaccino per la stagionale e a quello per l'H1N1 - e continuerà con i soggetti tra i 3 e i 28 anni che secondo le autorità sarebbero i più a rischio.

All'Assessore Bresciani fa eco il solito sottosegretario Fazio il quale sembra ormai, invece, arrendersi alla realtà: "l'allarme per l'influenza A è sicuramente sopravvalutato".

Come, sopravvalutato? Ma non era la peggiore pandemia del secolo, simile alla spagnola, quella di inizio '900 che ha fatto strage di milioni di europei? Com'è possibile allora che solo 10000 persone (contro le 50000 previste) siano state, ad oggi, contagiate?

Probabilmente è un miracolo, probabilmente siamo stati fortunati o forse è tutto merito di Topo Gigio e dei suoi insuperabili consigli che vale la pena di ricordare qui:

- lavati le mani col sapone (buona idea)

- se non te le sei lavate non toccarti il naso e non metterle in bocca!

- copriti la bocca quando tossisci (eh dai...)

- apri le finestre per cambiare aria (fa sempre bene)

- se hai la febbre o il raffreddore sta a casa dal lavoro (con buona pace di Brunetta)

vaccino influenza suina ministero sanità
24 milioni sono le dosi di siero commissionate alla Novartis dal Ministero della Sanità
Topo Gigio o meno, la pandemia si squaglia al primo sole d'autunno, anche se ormai , a onor del vero, ciò che veramente interessava è stato fatto e comprato: il vaccino! 24 milioni sono, infatti, le dosi di siero commissionate alla Novartis dal Ministero della Sanità, per una cifra che ancora oggi è avvolta nel buio più completo al punto che neanche la Corte dei Conti è stata in grado di venirne a conoscenza. Se le indiscrezioni parlano di 200 milioni di euro la verità è che, nonostante i controlli, sono molti e irrisolti i dubbi della Corte, la quale afferma di aver dato il via libera all'ordinanza del Presidente del Consiglio solo per i caratteri di "eccezionalità" e "urgenza" che presentava.

Nonostante la riservatezza del contratto con la Novartis, tra le righe della delibera della corte trapelano alcune parti dello stesso, ovvero quelle che più di altre hanno sollevato dubbi nella corte stessa. Tra questi il fatto che il contratto sia stato stipulato prima che il vaccino - chiamato Focetria - esistesse e fosse autorizzato dal''UE. A partire da questo dato il contratto, sottolinea la Corte, include «la possibilità di mancato rispetto delle date di consegna del prodotto senza l’applicazione di alcu­na penalità». Inoltre "anche in assenza dell’autorizzazione all’im­missione in commercio in Italia» il Ministero appare obbligato ad accettare il vaccino.

Ma non è tutto. Il Ministero sarebbe rimborsato in caso di danni causati a terzi solo nel presenza di difetti di fabbricazione, mentre in tutti gli altri casi ad essere rimborsato sarebbe la Novartis, la quale, ovviamente, è l'unica chiamata a definire se il vaccino è difettoso oppure no. Infine, sempre secondo l'Ufficio controllo della Corte, il contratto sarebbe «carente del parere di un organo tecnico in grado di attestare la con­gruità dei prezzi».

Ormai sono tutti dettagli, i soldi - quanti non si sa e non si capisce perchè non si debba sapere essendo denaro pubblico - sono stati spesi per la felicità della Multinazionale Novartis e anche nostra, visto che la sconfitta del virus suino è stata così varata!

da Terranauta

mercoledì 14 ottobre 2009

Culture indigene. ZO'E

IL POPOLO DELL'UTOPIA POSSIBILE

Autore: Angelo Bonelli

Zoe1.jpg

Il popolo Zo’è è uno dei 38 gruppi indigeni che vivono isolati nella foresta amazzonica. Sono conosciuti agli antropologi come l’ultimo popolo indios “intatto” dell’Amazzonia. Zo’è nella lingua indios Tupi significa Noi, quindi popolo Noi. Vivono in un’area montagnosa situata a Nord-Est dello stato del Parà nell’Amazzonia Brasiliana, e parlano un idioma della famiglia Tupi-Guarani; sono stati conosciuti agli inizi degli anni 90 come uno degli ultimi popoli indios ad entrare in contatto effettivo con la società occidentale. Dal 1997 nell’area dove vivono gli Zo’è il Funai (organismo del governo brasiliano di tutela degli indos isolati) ha realizzato un presidio di controllo. Da oltre sei anni in quel presidio vive Johao, un brasiliano, che insieme a sua moglie controlla, “armato” solo di una radio, che nell’area dove vivono gli Zo’è non vi siano invasioni d’occidentali alla ricerca d’oro e diamanti o di legname. Dal 23.04.2001 le terre dove vivono gli Zo’è sono state demarcate istituendo una riserva dall’estensione di 624.000 ettari che inizialmente avrebbe dovuto avere una superficie di 2,1 milioni di ettari.Ho incontrato gli Zo’è nelle loro terre, cosa molto difficile, grazie al ruolo di una Ong brasiliana Saude e Alegria (salute e allegria). Questa Ong svolge un ruolo prezioso e stategico a Santarem nello stato del Parà nell’assistenza socio-sanitaria delle comunità riberinhe caboco (una popolazione meticcia - un misto tra indios e popolazione nera), che vivono lungo il fiume Tapajos (affluente del Rio delle Amazzoni). Da quando opera in quell’area l’Ong Saude e Alegria la mortalità infantile è stata ridotta del 75% e -cosa importante- il suo intervento ha disincentivato l’abbandono della foresta. Ha insegnato loro come si possono utilizzare i prodotti della foresta, come potabilizzare l’acqua, li ha organizzati in modo comunitario e la loro presenza rappresenta un ostacolo forte per i madereiros (tagliatori d’alberi) e i sojero (coltivatori di soia) alla distruzione della foresta.

Zoe2.jpg

Parlavano degli indios Zo’è come del popolo dell’utopia possibile dove l’infelicità è sconosciuta e l’organizzazione gerarchica non esiste, un popolo che vive in totale armonia con la foresta. Un popolo indios entrato in contatto solo da pochissimi anni con persone occidentali e totalmente differente dalle comunità caboco di cui si occupa Saude e Alegria, che hanno costanti rapporti con le realtà urbane. Gli Zo’è sono totalmente isolati e vivono alle stesse condizioni di come vivevano millenni fa. Per raggiungerli, dopo essere stati autorizzati dal governo brasiliano, si parte dall’aeroporto di Santarem e con un piccolo aereo a quattro posti, dopo un’ora e quaranta di volo in direzione Nord verso il confine con il Suriname, si atterra su una pista lunga non più di 500 metri. Subito ci sono loro gli Zo’è. Si avvicinano ti accolgono con un sorriso e ti dicono “ auhanne” che in lingua Tupi significa come ti chiami. Ti toccano in ogni parte curiosi di verificare se tra i nostri corpi e i loro possano esservi differenze. Impossibile non rimanere sedotti dalla loro cortesia, affettuosità e non è raro vedere chi, colto da momentanea tristezza sia assalito da bambini, donne, uomini e anziani che con il solletico cercano di rianimare la felicità di chi pochi minuti prima l’aveva persa. La loro allegria, serenità e cordialità sembra a noi così strana, irreale ad un primo impatto, ma poi ti conquista e comprendi quanto questo popolo sia un’unica cosa con la foresta. I contatti, seppur rari, tra persone provenienti dal mondo occidentale e gli Zo’è impone loro una protezione epidemiologica da malattie che mentre per noi sono ormai del tutto innocue per loro sono mortali come una semplice congiuntivite o influenza. Nella metà degli anni 90 dopo i contatti, seppur intermittenti, con persone bianche gli Zo’è subirono forti epidemie: nel 1998 la popolazione indios si ridusse a 130 unità, mentre ora grazie ad un processo di recupero demografico e contano una popolazione di 208 unità.

Zoe3.jpg

Oggi una minaccia grave pesa sul futuro e la sopravvivenza di questo popolo. Sono i cercatori d’oro e diamanti, i coltivatori di soia delle grandi multinazionali (americani e giapponesi) come la Cargill, i tagliatori di alberi alla ricerca di legname; infatti, a trenta chilometri dalla riserva degli Zoè la foresta brucia. Centinaia di fuochi accessi dai sojero e dai madereiros: bruciano la foresta, la tagliano e coltivano la soia. Enormi navi cisterne caricano la soia coltivata e il legno tagliato e solcano i fiumi affluenti del rio delle Amazzoni per raggiungere le segherie e i depositi di stoccaggio. La riserva degli Zo’è inesplorata, è ormai sotto l’attenzione di questa selvaggia e criminale avanzata che distrugge tutto e tutti. Questo paradiso naturale, questo patrimonio culturale, queste persone rischiano di sparire, di essere eliminati senza che il mondo intero sappia nulla e la comunità internazionale possa essere messa nella condizione di poter aiutare questo popolo. Il processo di occupazione e sfruttamento selvaggio del territorio amazzone ha sterminato la maggior parte della popolazione nativa della foresta. Diversi popoli indios impotenti di fronte alle invasioni, e resistendo con forza alla distruzione della foresta, si sono addentrati in aree remote della foresta amazzonica avviando un processo voluto e radicale di resistenza. Molti di questi popoli si estingueranno senza che la loro esistenza possa essere conosciuta. Aspetti fondamentali della loro cultura originale e della loro società sono stati perduti o compromessi da questo processo di fuga permanente.

Zoe4.jpg

Nel 2002 25.000 Km quadrati di foresta amazzonica sono stati distrutti, una superficie equivalente alla Sicilia, mentre negli ultimi 25 anni sono stati distrutti 55 milioni d’ettari di foresta. Se non si invertirà radicalmente questa tendenza entro il 2040 tre quarti della foresta saranno trasformati in savana semi-arida e l’Amazzonia non sarà più ( oggi forse già non lo è) il polmone del mondo perché le parti più colpite dalla distruzione emettono più anidride carbonica di quanta ne assorbono. Il popolo degli Zo’è ha un sogno: poter attraversare le sue frontiere con tranquillità e senza ostilità e poter continuare a vivere nelle loro terre in sicurezza. Come Verdi siamo impegnati nel lanciare un appello ed una mobilitazione internazionale per tutelare le popolazioni indios e la foresta dell’Amazzonia, ed impedire una vera catastrofe ecologica ed umanitaria. Va fermata questa avanzata distruttiva coinvolgendo gli organismi internazionali ed i governi anche attraverso proposte innovative come quella del credito al carbonio. Interventi economici internazionali a sostegno dei paesi che fermano la deforestazione per dare ossigeno al pianeta e tutelare i suoi abitanti compresi gli indios.

domenica 13 settembre 2009

Manifestiamo per la scuola pubblica!

INIZIO ANNO SCOLASTICO. I VERDI TOSCANI MANIFESTANO DAVANTI LA SCUOLA PESTALOZZI.
Lunedì 14 settembre alle 12.15 i Verdi della Toscana e di Firenze manifesteranno con bandiere e striscioni davanti alla scuola Pestalozzi in occasione dell’inizio dell’anno scolastico.
“Come è tradizione ormai da diversi anni, i Verdi della Toscana iniziano l’anno scolastico manifestando di fronte ad un istituto simbolico per la Città di Firenze – afferma il Portavoce dei Verdi della Toscana – che in passato ha rischiato anche di essere accorpato e di perdere quindi, i tratti peculiari della sua tradizione di sperimentazione avanzata, inclusività, presidio fondamentale per il territorio di formazione alla partecipazione e ai valori democratici.”
“Manifesteremo contro la politica della destra al Governo che considera la scuola pubblica terreno di risparmio, mette in strada decine di migliaia di precari, taglia il sostegno in particolare per i più deboli, e rischia di pregiudicare definitivamente la qualità del sistema educativo del nostro Paese.
“Manifesteremo però, come abbiamo fatto ogni anno, anche quando al Governo c’era il centro-sinistra per ricordare che in questo Paese c’è un problema strutturale di laicità, anche soprattutto nella scuola e di arretratezza inaccettabile nella qualità e quantità degli investimenti in Istruzione, Ricerca, Università, Diritto allo Studio, rispetto tutti gli altri grandi Paesi occidentali, e che la miopia su questo terreno è purtroppo trasversale agli schieramenti politici.”

sabato 12 settembre 2009

Bambini stranieri. Le quote?

Alunni stranieri. Servono le quote, ma non solo...
In un articolo (Le classi dove gli italiani sono stranieri) che appare sul Corriere della Sera di oggi Isabella Bossi Fedrigotti torna sulla questione delle scuole dove non ci sono quasi più alunni italiani riproponendo la soluzione delle quote (30%, ma si potrebbe arrivare anche anche al 40%), già oggetto di un ordine del giorno approvato dalla Camera nello scorso mese di maggio.Dopo aver escluso il ritorno ai "bacini di utenza", che obbligavano gli alunni a iscriversi nelle scuole di zona, visto che ci sono ormai aree l'Italia a dominante presenza di stranieri, la scrittrice trentina scrive che "non resta che il ragionevolissimo anche se assai più labo­rioso sistema delle quote, in base al quale inserire nelle classi un numero di stranieri compatibile con i normali livelli di istruzio­ne, di modo da non indurre alla fuga gli alunni italiani".

Ma bisogna fare presto, altrimenti le scuole per soli stranie­ri non potranno che moltiplicarsi. Se sarà scelta la soluzione delle quote "fondamentale sarebbe però anche pre­parare gli insegnanti al compito ben più difficile che ormai li aspetta in numerosi istituti, sostenendoli con corsi di aggiorna­mento mirato, affiancandoli con persona­le per il doposcuola, non lasciandoli soli sulla breccia; magari, se fosse possibile, pa­gandoli anche di più rispetto ai colleghi impegnati in realtà un po' più normali e più conosciute".
Parole di buon senso, alle quali si può aggiungere che occorrerebbe non considerare "stranieri", almeno agli effetti scolastici, gli alunni di seconda generazione, nati in Italia, e per i quali non si pongono in genere problemi di lingua. E' preoccupante peraltro che negli anni scorsi non si sia trovato il modo di far rispettare quanto stabilito dal DPR n. 394 del 1999, che prevede che il numero dei bambini stranieri in una classe non possa essere "predominante".
tuttoscuola.com
venerdì 11 settembre 2009

Mense biologiche

Le difficoltà del cibo biologico ad entrare nelle mense scolastiche

"Non stupisce che il cibo biologico italiano abbia perso il suo primato". È il commento di Ilario Perotto, presidente di Angem, l'associazione nazionale dei gestori mense, ai dati diffusi da Coldiretti secondo i quali per la prima volta l'Italia ha perso il primato europeo nella produzione biologica a favore della Spagna. "Dal punto di vista filosofico, il cibo biologico è un'ottima iniziativa, ma i volumi di produzione non possono essere sufficienti a coprire il fabbisogno nazionale. Se si prendono in considerazione le mense, è del tutto evidente che la reperibilità della materia prima non può essere sempre così ampia da fronteggiare la richiesta, soprattutto in presenza di rigidi schemi settimanali per il menu, dove una mela non può essere sostituita con una pera o con un'arancia". Angem, che si è sempre battuta per cambiare le condizioni delle gare d'appalto sostenendo la validità del ricorso al criterio economicamente più vantaggioso, intravede solo in questa modalità l'unica strada per lasciare aperta la porta del biologico nelle mense. "Questo tipo di gara - conclude Perotto - si basa sui coefficienti da assegnare anche ai cibi. L'aumento dichiarato dalla Biobank del 6% nel numero dei pasti serviti nelle mense scolastiche è dovuto solo alla scelta vincolante da parte del committente che però non è sostenibile dalle aziende se non verranno organizzate le gare in base all'offerta economicamente più vantaggiosa. E un prodotto biologico è sicuramente più costoso di uno non biologico anche per la sua minor reperibilità".
tuttoscuola.com
venerdì 11 settembre 2009

A Prato


martedì 8 settembre 2009

La lingua speranzosa.

Cos'è l'Esperanto?

L’Esperanto è una lingua internazionale, cioè nata per la comunicazione fra persone e popoli di lingua diversa.
L’Esperanto è una lingua artificiale, nel senso che ha un autore e un inizio preciso: l’autore è il medico polacco L.L. Zamenhof, la data di inizio è il 1887, durante il quale venne stampato il primo libro. Da allora l’Esperanto ha raggiunto i 120 anni di vita, si è diffuso nel mondo, articolato in gruppi ed associazioni di tutti i tipi: secondo stime attendibili sono attualmente due milioni i locutori, a vario livello.
La fortuna dell’Esperanto è nella sua stessa struttura: la regolarità, la semplicità e la logicità permettono di soddisfare compiutamente i bisogni della comunicazione. Si racconta che Tolstoj l’abbia appreso in sole due ore, ma chiunque, anche il più digiuno di conoscenze linguistiche, nel giro di un mese sarebbe in grado di leggere, scrivere e parlare correntemente: grammatica e sintassi sono logiche e lineari, il patrimonio lessicale è tratto soprattutto dalle lingue europee, badando a scegliere le radici secondo un principio di massima diffusione, per rendere quanto più immediata l’acquisizione del vocabolario. E accanto agli aspetti linguistici gli esperantisti si propongono impegni sociali e culturali in genere: la solidarietà, la diffusione delle conoscenze, la promozione della tolleranza e della pace, realizzabili attraverso una fitta rete di comunicazioni, scambi culturali, incontri e congressi.
Nell’estate 2006 a Firenze si è svolto il 91° Congresso Mondiale di Esperanto, che ha riunito oltre 2200 esperantisti provenienti da tutto il mondo. Il tema del Congresso era “Lingue, culture ed educazione per uno sviluppo sostenibile”. Vari studiosi si sono avvicendati per sostenere che la diversità culturale è una ricchezza dell’umanità, è l’humus da cui possono sbocciare nuove idee e nuove soluzioni per i problemi del mondo; questa diversità va quindi preservata contro il rullo compressore di quanti tendono a considerare la globalizzazione un mezzo per esportare la propria lingua e la propria cultura. L’Esperanto si pone in questo quadro come quella lingua che ha vantaggi tecnici ed ideali: dal punto di vista tecnico è molto meno costoso insegnare l’Esperanto rispetto alle altre lingue, essendo più facile e regolare; dal punto di vista ideale, essendo seconda lingua per tutti, è uno strumento neutro e paritario di “democrazia linguistica”, protegge inoltre i vari idiomi e le varie culture perché non ha un retroterra nazionale e quindi non dovrebbe diventare strumento di omologazione culturale e fagocitazione linguistica.
Per informazioni e approfondimenti sull’Esperanto non mancano certo le fonti e gli studi: può essere utile, ad esempio, il testo di U. Eco “La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea”; fra i manuali, quello classico e semplice di Bruno Migliorini; fra i vocabolari, quello più recente è lo Zanichelli Esperanto-Italiano Italiano-Esperanto, pubblicato nel 2004 a cura di Umberto Broccatelli.
In Italia esiste la Federazione Esperantista Italiana (F.E.I.), il cui indirizzo internet è: http://www.esperanto.it
Leonardo Pampaloni

venerdì 4 settembre 2009

Silvia Raggi e il clima.

Un libro sui problemi ambientali del pianeta. Un eco-thriller scritto dall’esperto comunicatore ambientale Paolo Silingardi

image

Una tesi di laurea, un’amicizia d’infanzia, un documento trafugato, il futuro del pianeta in bilico tra interessi economici e mutamenti climatici. È “Il rapporto dryas” (edizioni Alcyone), il primo romanzo di Paolo Silingardi, esperto di comunicazione ambientale, presidente di Achabgroup rete nazionale di comunicazione ambientale e titolare dell’agenzia Achab Comunica. Nel suo percorso professionale ha curato moltissimi progetti che vanno dalla gestione dei rifiuti alla mobilità sostenibile, dall’energia all’acqua ed è autore di diversi format di successo.

“Il rapporto dryas - spiega Silingardi - ha per protagonista una ragazza, Silvia Raggi, grande esperta ed appassionata di comunicazione informatica che si troverà coinvolta, per dare una mano ad un suo amico che deve preparare una tesi di laurea sui cambiamenti climatici nella storia dell’umanità, in un intrigo pericoloso in cui si intrecciano personaggi legati al Pentagono, banche private, informazioni segrete e ricerche sulla corrente del Golfo. Il tutto gira attorno ad un dossier sui cambiamenti climatici”.
Insomma, una storia del tutto verosimile, fondata sulle attuali conoscenze scientifiche e sulla documentata propensione dell’umanità a farsi del male.

Come è nata la trama del libro?
“Mi sono ispirato ad un rapporto del Pentagono realmente redatto alcuni anni fa - aggiunge Silingardi – e che parlava dei cambiamenti climatici in atto in Europa, con scenari davvero poco rassicuranti. Poi ho inventato il personaggio del romanzo, Silvia Raggi, che è andata delineandosi sempre più precisamente nelle pagine del libro ed ho infine deciso di dare una vita ‘virtuale’ a Silvia, aprendo il blog di Silvia Raggi. Con mia sorpresa è diventato un vero e proprio caso e nel giro di pochissimi giorni i contatti sono stati oltre 240mila. Anche perchè ho inserito Silvia su Facebook ed ho aggiunto sul blog la possibilità di effettuare un test gratuito per verificare come le nostre abitudini quotidiane consumino energia ed ambiente. Ora il blog di Silvia e la pagina del network sono divenuti un centro di discussione sulle tematiche ambientali, con una redazione di tre persone che si alternano a cercare notizie per stimolare discussioni, informare, e per rispondere alle tante domande che vengono poste a questo personaggio, virtuale ma al tempo stesso realistico che vive nel mondo della rete”.
Lo svolgersi del romanzo è l’occasione per l’autore di mettere in evidenza i problemi ambientali, non solo quelli planetari, ma anche quelli che caratterizzano le città dei nostri tempi, i comportamenti individuali e collettivi, le contraddizioni di un modello di sviluppo che non tiene conto del concetto del limite delle risorse e che per inseguire il mito del profitto è disposto anche a sacrificare vite umane.

domenica 23 agosto 2009

Francia. Educare all'ecologia

Educare all'ecologia secondo monsieur Hulot
Un patto ecologico “alla francese”
di Roberto Bombarda, consigliere provinciale dei Verdi e Democratici del Trentino“

Una delle caratteristiche della vita politica in democrazia risiede nell’incapacità dei suoi protagonisti di proiettarsi nel futuro, ossia di anticipare i problemi e proporre una prospettiva. Per un uomo politico, il lungo termine supera raramente l’orizzonte del suo mandato elettorale; invece lo sviluppo sostenibile ha, per sua natura, lo scopo di prevenire i problemi e preparare l’avvenire”.
Così scriveva lo scorso anno Nicolas Hulot ai candidati alle elezioni politiche francesi, chiedendo a ciascuno di dichiarare come avrebbe pensato di risolvere i problemi ambientali e proponendo – da destra a sinistra – di condividere un “patto ecologico” sottoscritto anche dai candidati presidenti Sarkozy e Royal. Hulot è un personaggio famosissimo in Francia, potremmo paragonarlo a Piero Angela ma con una marcia in più in tema di ecologia. Egli è infatti il padre dei prestigiosi documentari “Ushuaia Nature” diffusi in tutto il mondo e di innumerevoli iniziative editoriali e benefiche, tra le quali una fondazione che porta il suo nome.
Ebbene le parole ed il “patto” proposto da Hulot appaiono oggi quanto mai attuali anche in Italia. La prospettiva di nuove elezioni politiche, con sullo sfondo i drammatici problemi di Napoli ma anche i recenti ammonimenti delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e la crisi energetica mondiale, stanno portando nuovamente a galla lo spaventoso vuoto culturale della politica in tema di ecologia. Servirebbero oggi più che mai politici in grado di far capire agli elettori che il futuro non può più consistere in proposte di sviluppo spesso rovinose finanziariamente per le casse pubbliche basate su strutture pesanti, ma nell’attuare una gestione del territorio compatibile con la necessaria sobrietà energetica e con il mantenimento dei servizi resi dagli ecosistemi.
Il patto sottoscritto in Francia da centinaia di candidati – che non è di destra, di sinistra o di centro, ma un accordo al di sopra di tutti - probabilmente non sortirebbe la stessa sorte in Italia ed in Trentino per la semplice incapacità da parte di gran parte della classe politica di capire il significato dei termini e delle formule proposte. Una classe politica vetusta ed ottusa che è causa della odierna situazione di degrado e che non può certo proporre soluzioni adeguate, visto che semplicemente non le conosce! E quando l’ignoranza fa il paio con l’arroganza del potere, la frittata è servita…Vediamo quantomeno per la cronaca quali erano i cinque punti che il patto francese prevedeva nel breve periodo.
Primo: mettere l’ambiente al centro dello Stato, con un vice primo ministroincaricato dello sviluppo sostenibile.
Secondo: istituire una carbon tax ad aumento costante, fino alla riduzione a un quarto delle emissioni di gas carbonico (riducendo le emissioni annue del 3%entro il 2050, obiettivo ambizioso ma non impossibile).
Terzo: offrire all’agricoltura un mercato di qualità, riorientando progressivamente le sovvenzioni agricole verso un ripristino collettivo sullabase dei prodotti certificati e di prossimità e negoziando una riforma della PAC che vada in questa direzione.
Quarto: sottoporre sistematicamente a dibattito pubblico gli orientamenti dello sviluppo sostenibile (ricorrendo ad esempio a procedure di democrazia partecipativa).
Quinto: Promuovere una grande politica nazionale di educazione e di sensibilizzazione all’ecologia e allo sviluppo sostenibile (che in Francia si traduce “durevole”, un termine decisamente migliore).
Su quest’ultimo punto credo che si giochi il futuro, non solo dei francesi o degli italiani, ma dell’intera umanità. Nella dichiarazione “Un ambiente per l’Europa” (Kiev, maggio 2003) si afferma: “L’educazione è non solo un diritto dell’uomo ma anche una condizione sine qua non dello sviluppo sostenibile e uno strumento indispensabile per una buona gestione”. Insomma, avevano ragione gli antichi, occorre conoscere bene per agire di conseguenza, abbiamo bisogno dell’umiltà dell’apprendimento, non della sicumera della propaganda politica fatta solo di cerone e faretti.
Conoscere la natura significa in definitiva conoscere noi stessi. E trovare le soluzioni migliori, che ci sono e sono state già sperimentate, per vivere meglio in un mondo più sano e pulito. Già, sembra una conclusione banale: rompere con la natura significa sempre di più allontanarsi dall’uomo. Che abbia ragione Nicolas Hulot quando tristemente annota che forse “non siamo civilizzati in profondità”? Il teologo Leonardo Boff risponde che “il degrado della nostra casa comune, la Terra, denuncia la nostra crisi adolescenziale. Dobbiamo entrare nell’età matura e manifestare segni di saggezza. In mancanza di questo non potremo garantire un futuro promettente”.

sabato 22 agosto 2009

BENVENUTI SU VERDESCUOLA

Questo blog è in allestimento...
tornate a trovarci fra qualche giorno!
zia Alma